22.03.2020
L'allenatore dell'under 15 nazionale si racconta
Davide Reffatto, veronese, laurea magistrale in scienze della comunicazione, il calcio nel dna, allenatore con il patentino e con una serie di importanti esperienze alle spalle, anche a livello internazionale. Dall’inizio della corrente stagione è al timone della formazione biancorossa Giovanissimi nazionali under 15.

Mister, come sta vivendo questa esperienza?

“Un impegno sicuramente stimolante, ricco di contenuti e piacevole. C’è la possibilità di confrontarsi contro realtà calcistiche che rappresentano società blasonate e strutturate sono espressione di bacini d’utenza importanti. Si tratta di una bella esperienza sia per i ragazzi che alleno che per il sottoscritto”.

Su quali principi ha impostato il lavoro?

“Dal punto di vista tecnico seguiamo la linea tracciata dalla società, in modo tale che all’interno delle varie squadre della fascia agonistica si ragioni con la stessa terminologia e la stessa metodologia per avere una linea condivisa. Quindi, grande attenzione al ragazzo, al centro del progetto, al suo perfezionamento dei fondamentali e alla crescita nelle varie fasi, di possesso o di non possesso palla, oltre che tecnico-tattica nel complesso. Per quanto riguarda invece l’aspetto motivazionale e mentale, prima di tutto deve esserci costanza e predisposizione a compiere anche dei sacrifici, perché facciamo quattro allenamenti settimanali e le trasferte sono distanti. Mentalità e impegno sono i valori alla base del nostro percorso”.

Quali sono le risposte che i ragazzi le stanno dando?

“I ragazzi sono meravigliosi. Ben disposti, presenti agli allenamenti, attivi e propositivi. Seguono con attenzione, si mettono in discussione, quindi l’approccio e la mentalità sono giusti per proseguire un processo di crescita complessiva”.

Crescita tecnica e crescita umana in parallelo?

“Proprio così. Alla base deve esserci la crescita umana del ragazzo e in parallelo quella tecnica, cercando di valorizzare le competenze di ciascuno, potenziandole se possibile. Lavorare sui difetti, esaltando i pregi. Prima che con dei giocatori ci rapportiamo con dei ragazzi che stanno crescendo e il nostro compito principale è quello di trasmettere principi e valori”.

I risultati delle partite sono importanti, ma non sono l’obiettivo prioritario?
“Esattamente. Ribadisco che c’è un articolato processo di crescita che sta a monte del progetto, anche se viviamo in una realtà in cui, anche a livello giovanile, un lavoro strutturato e certosino viene valutato e giudicato troppo spesso solo ed esclusivamente per il risultato della partita, offuscando il progetto che c’è alla base. E’ una mentalità che bisogna cambiare ovunque, tenendo ben presente che il risultato fine a se stesso è spesso figlio di un palo, di un rimbalzo dentro o fuori, di un fuorigioco millimetrico fischiato o non fischiato, quindi di episodi…”.

Come si potrebbe migliorare?

“Analizzando, dall’esterno, le prestazioni con una visione più ampia. Cosa che noi facciamo a livello tecnico: il feedback che ci forniscono le partite serve a modellare il lavoro da svolgere in allenamento”.

Quali saranno i prossimi step?
“Proseguire sulla strada intrapresa, cercando di migliorare la soglia di attenzione e della concentrazione, per compiere un passo avanti nel processo di maturazione per essere pronti ad approdare alla categoria superiore”.

Com’è arrivato in Alto Adige: da Verona, passando per la Cina … in questo momento al centro dell’attenzione mondiale?
“Ho iniziato nella scuola calcio e nei pulcini ed esordienti del mio paese, Badia Calavena, nel veronese, Poi il San Martino Speme: pulcini, esordienti, giovanissimi e allievi regionali collaborando al tempo stesso con il Chievo Verona, quindi la Virtus Vecomp, allenando giovanissimi elitè ed allievi regionali. Nel 2016 l’esperienza in Cina, in un sistema dove non esistono i settori giovanili intesi come li intendiamo noi. Le uniche realtà che hanno settore giovanile sono le due leghe maggiori: China Super League e League One, obbligate ad averli. Giocano in una competizione per Academy tra squadre professionistiche. Io ho lavorato per un’accademia di Shanghai”.

Cosa le ha lasciato l’esperienza cinese?
“Mi ha rafforzato tanto, mi ha fatto conoscere metodologie ed idee differenti ed arricchito sia professionalmente che umanamente. Soprattutto mi sono accorto di quanto noi italiani tendiamo spesso a sottovalutarci. In due parole: tanti concetti che per noi sono basilari in giro per il mondo non lo sono. L'allenatore italiano medio non ha niente da invidiare a nessuno secondo me”.

I problemi maggiori incontrati?

“In Cina ci sono risorse, voglia di migliorarsi e possibilità. Problemi? Vivere in Cina può non piacere a tutti. Lingua, cultura, idee possono essere un freno per alcuni. La difficoltà più grande incontrata? Riuscire ad entrare nella filosofia cinese che è ancora più diversa da quello che pensavo prima di partire. In tal senso l'idea che abbiamo in Occidente della Cina è completamente diversa da quella che poi è la realtà. Non dico meglio o peggio: dico diversa”.

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